In questa edizione speciale proponiamo l’intervista a Graziano Tarantini, presidente della Fondazione San Benedetto di Brescia da cui è nata la Scuola di Lettura e Scrittura “Pierluigi Cappello”, condotta oggi dalla nostra Associazione.
Per questo Natale particolare abbiamo voluto condividere con voi questa intervista perché la sua amicizia e il suo amore per la letteratura ci indicano sempre un “più in là”!
Godetevi il nostro regalo… buona lettura e buon Natale!
Da dove nasce la tua passione per la lettura?
Tutte le cose nascono per vicende personali. La mia passione per la lettura nasce alle elementari, grazie alla maestra Liliana che ogni giorno, alle 12.30, ci leggeva un racconto di un libro e lo interrompeva alle 13:00, nel momento clou, dicendo: continuiamo domani. Così noi attendevamo fino al giorno dopo chiedendoci cosa sarebbe successo.
Questo ci ha messo in moto, fin dalla seconda elementare, una curiosità, una creatività e una capacità di ascoltare, perché ognuno di noi si immaginava un luogo, un volto, un personaggio. Ricordo ancora un racconto nel quale una barca si era capovolta in un lago e io per diverse giornate mi ero immaginato quella barca… Anni dopo ho visto a Napoli una barca proprio come me la ero immaginata io. Questa è stata per me l’esperienza della lettura.
E per la scrittura?
Noi eravamo ragazzi cresciuti sentendo parlare quasi solo in dialetto. Alle medie, invece, la professoressa ci obbligava a scrivere sempre, in italiano. Il lunedì ci chiedeva: cosa hai fatto domenica? Ma nessuno rispondeva, perché se avessimo parlato, poi avremmo dovuto scriverlo. Con lei iniziammo a scrivere tutti e sempre.
Un giorno il Professor Cipollone, di disegno, ci regalò gli album per gli schizzi che nessuno di noi si poteva permettere, ma quando ci portò fuori a vedere i covoni di fieno per poterli disegnare, tutti noi chiedemmo: non possiamo scrivere? Tanto ci eravamo abituati che ormai era diventata una parte di noi.
L’amore per la lettura e per la scrittura è nato per me da queste esperienze.
Che cos’è per te la letteratura?
Per me la letteratura è la vita. La vita tua e la vita degli altri. È semplicemente descrivere ciò che muove i tuoi occhi.
Ad un certo punto ho avuto la fortuna di avere delle insegnanti di italiano superlative: ad esempio, la mia professoressa di italiano per spiegarci i Promessi Sposi un giorno si presentò vestita da bravo ed entrò in classe marciando.
Ho avuto la fortuna di trovare una professoressa che mi prendesse a cuore: per un periodo tutti i pomeriggi andavo a casa sua a fare greco e latino, poi il sabato mi portava con lei a San Vito e mi recitava la Divina Commedia e Leopardi a memoria. Quando 10 anni fa l’ho rivista, in occasione di una cena con i suoi ex allievi, abbiamo riletto Leopardi guardando il mare.
Chi ti conosce sa che certi autori che ti hanno cambiato la vita…
Certi autori sono consustanziali, fanno parte di te. A Dostoevskij devo tutto. Perché è capace di investigare ogni angolo dell'animo umano. Quando mi fu letto per la prima volta l’Infinito di Leopardi, tornai al Colle Paolo dove spesso mi ero fermato davanti all’orizzonte: lì mi resi conto che Leopardi mi aveva dato le parole per dire cose che vedevo e non riuscivo ad esprimere. Poi, siccome le poesie si studiavano a memoria, ricordo che avevo copiato il testo su un foglietto e lo tenevo nella tasca dei pantaloncini, così mentre giocavo a calcio ogni tanto mi fermavo e ne leggevo un pezzo. Amo la letteratura perché per me è stata da sempre il moto della vita, la possibilità di una espressività.
Nonostante l’incontro all’università con un grandissimo insegnante di Filosofia, Rocco Buttiglione, continuo a preferire la letteratura perché ha la “pretesa” di raggiungere il vero attraverso la bellezza, piuttosto che attraverso il ragionamento. La letteratura non spiega, racconta e ti fa capire le cose vere attraverso l’esperienza di altri uomini. Vasilij Grossman va con l’Armata Rossa e quando racconta la battaglia di Stalingrado si rende conto che loro e i nazisti erano due facce della stessa medaglia. Non vuole spiegarti le cose, te le racconta. Questa è la grandezza della letteratura, che fa risaltare dentro le cose della vita ciò che è vero. E per me è stata una salvezza reale.
Come la scrittura è parte di te oggi?
Io scrivo sempre. Non mi interessa chi legge, come scrivo, niente…pensa che soltanto sul telefonino ho 518 racconti scritti da me. Il 7 dicembre pioveva ed ero a casa. Mi sono tornati alla mente i giorni d’autunno di quando ero ragazzo.
Tornavo il sabato a casa da Lanciano e guardando dal finestrino del treno che attraversava i campi vedevo i contadini bruciare le sterpaglie nella nebbia dei giorni piovosi.
Lo scorso 7 dicembre ho rivissuto quel clima e allora ho scritto Poesia di un paese triste.
La scrittura è un esercizio per collegare la mente alla mano. Devi fare questo collegamento. Non importa se sei sgrammaticato, le correzioni avvengono dopo. Però se tu cominci a dire a uno: scrivi, non importa...poi vengono fuori dei contenuti. Anche le competenze sono importanti, però la scrittura può diventare una pretesa di protagonismo, invece la lettura è come dire: io posso far miei secoli di storia. Tutte le volte che passo per l’Emilia e vedo i cipressi a me viene in mente Pascoli, quando passo dalla Costa dei Trabocchi mi viene in mente D’Annunzio. È un regalo, perché tu veramente puoi possedere il mondo. Dunque, una scuola di scrittura non può non prevedere anche la lettura. È un prima che ti aiuta a dare un nome alle cose.
Nel tuo libro “Di un uomo” hai definito la letteratura come una delle “maggiori espressioni del rapporto dell’uomo con il suo destino”. Non è la concezione di letteratura a cui siamo abituati nella società di oggi…
Viviamo in un mondo dove si è perso il significato vero della parola cultura, confondendolo con l’essere eruditi. C’è gente che ti comincia a citare i libri e dopo un po’ non ne puoi più. I libri non vanno citati, tu devi parlare di te. È il te che parla ad essere impregnato di Dostoevskij, Leopardi… La cultura non c’entra niente con l’erudizione. È un amore. In questo senso un contadino o un operario possono essere più acculturati di molti studiosi. La cultura vera è il nesso di un particolare con il tutto. Questo l’hanno insegnato molto bene Giovanni Paolo II e don Giussani.
Che contributo può dare l’esperienza personale della letteratura nel momento attuale?
Oggi mancano punti di condivisione. La letteratura è un punto di incontro, da cui è possibile avviare un dialogo.
Che libro consiglieresti per questo Natale?
La leggenda del santo bevitore di Roth. Se potete leggetelo la sera del 24, non c’è regalo più bello. In poche pagine mostra come la letteratura, laddove il mondo vede tutto nero, riesce a far vedere lo squarcio di positività perché un uomo un giorno, per un secondo soltanto della vita, riesce a vedere una luce.
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