Condividiamo l'intervista a Julia Kristeva proposta dalla Fondazione San Benedetto
“Noi siamo rimasti a Parigi, ma molti nel nostro quartiere sono partiti per trascorrere i giorni del confinamento altrove. Allora la sera alle 20, quando dai balconi c’è l’applauso per medici e infermieri, io e mio marito (il filosofo Philippe Sollers, nota del redattore) usiamo anche le pentole per fare un po’ di rumore in più”, racconta al telefono Julia Kristeva, la grande intellettuale europea (si definisce così, oltre a bulgara e francese d’adozione) che ha appena pubblicato un saggio su Dostoevskij) e con “La Lettura” prova a riflettere sull’individuo e la società ai tempi dell’epidemia.
Accanto agli slanci di solidarietà e ai momenti di comunione sui balconi, il confinamento comincia a provocare anche invidie e aggressività. C’è l’odio per quanti hanno raggiunto le seconde case o per chi è sospettato di fare un po’ troppo jogging. Il coronavirus rischia di minare i rapporti sociali?
“E’ curioso come la parola “virale” fosse già molto usata, da qualche tempo. Le reazioni virali facevano già parte della nostra iperconnessa attualità politica ed economica. Tutto ciò che procede per contagio, precipitazione, dopo un inizio scintillante legato al piacere arriva a un’esplosione mortifera. La viralità fa parte del nostro ambiente, nei social media che si esaltano per poi maltrattare e distruggere, per esempio. Nei comportamenti che lei cita c’è qualcosa di virale, ma l’abbiamo visto anche prima, nei gilet gialli per esempio, in un movimento che insorge ma poi anche distrugge, nei black block che saccheggiavano le strade di Parigi. L’accelerazione della nostra civiltà era arrivata a uno stadio virale e oggi questa metafora ci sconvolge e si cala nel reale, perché è una minaccia esterna ma anche interna. Forse non abbiamo abbastanza difese immunitarie e il pericolo è anche dentro di noi. Alcuni hanno il virus forse senza neppure saperlo, ma sopravvivono, altri moriranno. Questo ci permette di porci delle domande sul mondo nel quale viviamo, sui fallimenti e su quello che non riusciamo a pensare. A cominciare dall’Europa”.
Come giudica la presenza dell’Europa in questa fase?
“Io sono europea, nel libro su Dostoevskij che ho appena pubblicato ne cerco il lato europeo e moderno. Vedo l’Europa ovunque e voglio mantenerla, anche se attraversa molte difficoltà e si trova in un momento di caos. Ma il virus ha mostrato che quest’Europa non solo è un mercato privo di politica, di difesa, incapace di rivalutare la nostra grande cultura comune, ma quest’Europa mostra un’incapacità sanitaria assolutamente spaventosa.
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